Le irregolarità fiscali e contributive di un concorrente, come previsto dall’art. 80, comma 4 del D.Lgs n. 50/2016 (Codice dei Contratti Pubblici) comportano la sua esclusione dalla gara. Non solo: eventuali motivazioni come inadempienze per difficoltà economiche dovute alla pandemia Covid-19, non costituiscono una deroga se non sono rispettate alcune condizioni.
Lo spiega bene la sentenza n. 1079/2022 del Consiglio di Stato, sez. V, sul ricorso presentato dalla mandataria di un costituendo RTI contro il provvedimento di esclusione da una gara disposto da una Stazione Appaltante per un’irregolarità fiscale, definitivamente accertata e sussistente in capo alla mandante del Rti.
Secondo l’appellante, la sentenza di primo grado sarebbe stata errata in quanto:
- la stazione appaltante ha omesso di segnalare tempestivamente al concorrente l’irregolarità fiscale di una delle mandanti, impedendo così di sanarla prima della scadenza del termine di presentazione della domanda di partecipazione alla gara;
- la sanzione dell’esclusione dalla gara sarebbe sproporzionata e ingiusta, nonché contraria alla ratio di sostegno all’attività imprenditoriale degli interventi legislativi emergenziali che hanno sospeso gli obblighi di pagamento e della soglia di rilevanza della gravità delle violazioni tributarie nel corso dell’emergenza sanitaria, hanno come scopo il sostegno all’attività imprenditoriale.
- il provvedimento di escusione sarebbe stato emesso dal dirigente comunale e non dal RUP, come previsto dall’art. 31, comma 3, del d.lgs. n. 50 del 2016.
Il Consiglio di Stato ha per prima cosa richiamato il principio di autoresponsabilità, per cui era dovere della concorrente, prima di partecipare alla gara, accertare il possesso in capo a tutti i componenti del raggruppamento di tutti i requisiti di partecipazione, compresa la regolarità fiscale. A fronte di un’attestazione negativa di regolarità fiscale nei confronti di un concorrente, la stazione appaltante è infatti vincolata a disporne l’espulsione. Per altro, il provvedimento di esclusione è stato legittimamente emesso a firma del dirigente, proprio su rilievo del RUP, per cui esso era legittimo.
Riguardo la sospensione dei pagamenti relativi ad adempimenti fiscali e contributivi, i giudici di Palazzo Spada hanno evidenziato che lo stesso Consiglio ha più volte affermato che “La sospensione invocata da parte appellante ed introdotta dalle norme per fronteggiare l’emergenza sanitaria nel Paese non può che essere riferita ai nuovi avvisi e non ai pregressi già scaduti, in coerenza con le finalità di evitare un aggravio per chi si trovi in difficoltà a causa delle restrizioni e delle misure per evitare i contagi. Assegnare ad essa altro significato comporterebbe un ingiustificato effetto di generale ‘sanatoria’ (sospensione) non voluto dal legislatore e non in linea con le finalità della disciplina”.
Come spiega il Collegio, il legislatore italiano, nell’esercizio del suo potere discrezionale e insindacabile, ha introdotto con la disciplina emergenziale la temporanea sospensione dei termini con chiaro ed univoco riferimento alla fase di riscossione degli adempimenti fiscali, al fine di consentire ai soggetti gravati una misura di sostegno nel periodo di tempo interessato della pandemia.
La misura non può essere estesa anche a situazioni di gravi irregolarità fiscali già accertate al momento dell’entrata in vigore della normativa e per le quali erano già scaduti i termini di pagamento, come nel caso in esame, in cui, nonostante l’ammissione alla rateizzazione, la mandante del Rti appellante non aveva provveduto al pagamento rateale ben prima dell’insorgere della pandemia.
Il concorrente aveva quindi il dovere di comportarsi in conformità ai propri obblighi di diligenza e secondo il principio di autoresponsabilità, rispondendo del proprio comportamento negligente nella partecipazione alla procedura ad evidenza pubblica.
L’appello è stato quindi respinto, confermando l’esclusione dalla gara ai sensi dell’art. 80, comma 4 del Codice degli Appalti.