Il Consiglio di Stato, sezione terza, con la pronuncia della terza sezione n. 7890 del 25 novembre 2021 ha affermato che l’esistenza di rapporti commerciali non episodici con una impresa già esposta a rischio di infiltrazione criminale costituisce elemento per una interdittiva antimafia che impedisce la partecipazione ad appalti pubblici.
Il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso, confermando il contenuto della sentenza di primo grado, in quanto «uno degli indici del tentativo di infiltrazione mafiosa nell’attività d’impresa, di per sé sufficiente a giustificare l’emanazione di una interdittiva antimafia, è identificabile nella instaurazione di rapporti commerciali o associativi tra un’impresa e una società già ritenuta esposta al rischio di influenza criminale, in ragione della valenza sintomatica attribuibile a cointeressenze economiche particolarmente pregnanti; queste, infatti, giustificano il convincimento, seppur in termini prognostici e probabilistici, che l’impresa controindicata trasmetta alla seconda il suo corredo di controindicazioni antimafia, potendosi presumere che la prima scelga come partner un soggetto già colluso o, comunque, permeabile agli interessi criminali a cui essa resta assoggettata (o che, addirittura, interpreta e persegue)».
Interessante è l’analisi in cui i fatti valorizzati dal provvedimento prefettizio devono essere valutati in chiave unitaria al fine di valutare l’esistenza o meno di un pericolo di una permeabilità della struttura imprenditoriale a possibili tentativi di infiltrazione da parte della criminalità organizzata.
In caso di rapporti commerciali tra le imprese, emergono gli elementi predittivi di infiltrazioni malavitose; viceversa, l’interdittiva non può essere emessa «là dove l’esame dei contatti tra le società riveli il carattere del tutto episodico, inconsistente o remoto delle relazioni d’impresa».