TAR: CILA e dichiarazione di inefficacia

Il TAR si è soffermato diverse volte sui poteri della P.A. in termini di vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia nel territorio con particolare riguardo alla CILA

Il TAR Lombardia con la sentenza n. 462/2022  è intervenuto sulla CILA e il potere-dovere di vigilanza della Pubblica Amministrazione.

Sentenza che si unisce ad altre:

  •  sentenza del TAR Calabria 29 novembre 2018, n. 2052;
  •  sentenza del TAR Lazio 20 settembre 2019, n. 11155.

L’ultimo intervento del TAR lombardo risponde al rilievo ricorrente basato sull’infondatezza dell’operato della pubblica amministrazione che avrebbe utilizzato un potere non tipizzato nel dichiarare inefficace la CILA in sanatoria.

Il punto focale sono le parole utilizzate dal ricorrente “CILA in sanatoria” sulle quali in realtà il TAR per la Lombardia non fa alcun rilievo.

Ricordiamo che all’interno del d.P.R. n. 380 del 2001 (Testo Unico Edilizia) non esiste la CILA in sanatoria. L’art. 6-bis del Testo Unico Edilizia, oltre a definire quali sono gli interventi soggetti a CILA (ovvero quelli non riconducibili all’elenco di cui agli articoli 6, 10 e 22), chiarisce anche cosa accade in caso di intervento realizzato in assenza.

Il caso degli interventi realizzati in assenza di CILA non è tipizzato come “abuso edilizio”. La norma lo dice chiaramente affermando che “La mancata comunicazione asseverata dell’inizio dei lavori comporta la sanzione pecuniaria pari a 1.000 euro. Tale sanzione è ridotta di due terzi se la comunicazione è effettuata spontaneamente quando l’intervento è in corso di esecuzione“. Quella che volgarmente è chiamata come CILA Tardiva che non sana un abuso edilizio ma sanziona solo una mancanza amministrativa.

Molto semplicemente, se l’intervento va in CILA non potrà mai essere un “abuso edilizio”, al più si potrà applicare una sanzione amministrativa ma non una penale.

Se guardiamo i poteri repressivi della P.A, il TAR lombardo conferma che le peculiarità giuridiche della CILA non precludono all’amministrazione l’esercizio degli ordinari poteri repressivi e sanzionatori, implicitamente previsti dall’art. 6 bis DPR n. 360/01, nel caso in cui l’attività libera non coincida con l’attività ammessa.

In questo caso la P.A. fa legittima applicazione del potere che ad esso compete in termini di vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia nel territorio. Potere che non necessita di comparazione degli interessi privati coinvolti né alcun affidamento del privato, meritevole di tutela, al mantenimento delle opere abusive per effetto del decorso del tempo.

Dunque la dichiarazione di inefficacia della CILA non è altro che l’esplicazione del potere di repressione degli abusi edilizi. In materia di repressione degli abusi, l’omissione delle garanzie procedimentali è ininfluente, avuto riguardo alla natura vincolata del provvedimento demolitorio degli abusi edilizi e alla correlativa insussistenza di elementi tali da far ritenere che l’apporto del privato avrebbe potuto condurre ad un esito diverso.

Analogie si ritrovano nelle pronunce del TAR Lazio che, citando l’orientamento del  Consiglio di Stato, ha precisato che:

  • qualora la CILA sia utilizzata al di fuori della fattispecie legale, ossia per eseguire opere che richiedano il permesso di costruire (o la stessa SCIA) o, comunque, in violazione della normativa in materia, l’amministrazione non può che disporre degli ordinari poteri repressivi e sanzionatori dell’abuso.
  • nei casi in cui la CILA è inidonea a legittimare un’opera, questa è e resta senza titolo edilizio e la sua natura abusiva può essere rilevata, in ogni momento e senza limiti di tempo, dall’amministrazione competente;
  • l’attività assoggettata a CILA non solo è libera, come nei casi di SCIA, ma, a differenza di quest’ultima, non è sottoposta a un controllo sistematico, da espletare sulla base di procedimenti formali e di tempistiche perentorie, ma deve essere soltanto conosciuta dall’amministrazione, affinché essa possa verificare che, effettivamente, le opere progettate importino un impatto modesto sul territorio;
  • la P.A. mantiene sempre integro il potere di vigilanza contro gli abusi delineato in via generale dall’art. 27 del D.P.R. n. 380/2001 (c.d. Testo Unico Edilizia). L’esercizio del potere consiste nel semplice rilievo, non soggetto a termini o procedure particolari e comunque non rientrante nell’ambito di applicazione dell’art. 21-nonies della Legge n. 241/1990, dell’inefficacia della CILA in vista della sospensione dei lavori e dell’adozione dei conseguenti provvedimenti repressivi.

Altre analogie le troviamo nella sentenza del TAR per la Calabria. In questo caso i  giudici hanno chiarito che la CILA inoltrata dal privato alla p.a. non può essere oggetto di una valutazione in termini di ammissibilità o meno dell’intervento da parte dell’amministrazione comunale ma, al contempo, a quest’ultima non è precluso il potere di controllare la conformità dell’immobile oggetto di CILA alle prescrizioni vigenti in materia.

Ne deriva che il provvedimento di diniego della CILA adottato dalla amministrazione è nullo ai sensi dell’art. 21-septies, L. n. 241/1990, poiché espressivo di un potere non tipizzato nell’art. 6-bis D.P.R. n. 380/2001, salva e impregiudicata l’attività di vigilanza contro gli abusi e l’esercizio della correlata potestà repressiva dell’Ente territoriale.

Possiamo da queste citate sentenze desumere:

  • Che la CILA essendo una comunicazione non necessita di un processo di accettazione o diniego, non previsti dal DPR 380/2001.

È possibile emettere un provvedimento di inefficacia della CILA quando è inidonea a legittimare un’opera ovvero quando è stata utilizzata per interventi che avrebbero richiesto di una SCIA o un permesso di costruire. Alla dichiarazione di inefficacia deve seguire la sospensione dei lavori e l’adozione dei conseguenti provvedimenti repressivi della P.A.