Codice della crisi e della insolvenza: Modelli organizzativi 231

Il nuovo Codice della crisi e della insolvenza («Ccii») al fine di evitare il fallimento della azienda ha inserito un nuovo comma all’art. 2086 c.c., l’art. 375 ha sottolineato l’importanza della costruzione di adeguati assetti (organizzativi, amministrativi e contabili) funzionali al fine di rilevare tempestivamente la crisi d’impresa e la perdita della continuità aziendale.

La riforma che a breve entrerà in vigore ha visto conferire ai modelli previsti dal dlgs 231/2001 una duplice veste:

  • quella di strumenti necessari non solo per prevenire la commissione di reati e salvare le società della conseguente responsabilità c.d. «penale»;
  • quella di strumenti volti ad evitare il fallimento.

Vediamo in breve alcune novità del Codice della crisi.

Il c.d. postulato della Prospettiva della continuità aziendale – Oic, assume una connotazione ben più ampia di quella contabile, propria della disciplina di bilancio, e diviene uno specifico obbligo in capo agli amministratori e un riferimento stabile nella gestione dell’impresa: la corretta gestione organizzativa, di controllo gestionale e amministrativo permette di portare alla luce i segnali insorgenti della crisi d’impresa prima che la stessa diventi irreversibile, rimuovendone le cause e ad attuando interventi immediati ed effettivi tesi al recupero della continuità.

Viene ampliato il concetto di adeguatezza delle strutture organizzative (presente nel Tuf, nel Tub, nel Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica e nell’ambito delle disposizioni sulle società per azioni); infatti da una parte ha esteso gli obblighi organizzativi a carico degli amministratori di qualsiasi impresa che operi in forma societaria o collettiva; e dall’altra, ha posto l’accento sulla funzionalità degli assetti a far emergere con tempestività la crisi d’impresa, prima che la stessa finisca per incidere in modo irreversibile sulla continuità aziendale con inevitabile ricorso a soluzioni liquidatorie.

Importante è la previsione sancita dal comma 2 dell’art.2086 del Ccii.

Il legislatore, infatti, da un lato prescrive alle imprese di adottare «modelli organizzativi di gestione e di controllo» ai fini della compliance 231 e in particolare «idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi», nonché «a garantire lo svolgimento dell’attività nel rispetto della legge e a scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni di rischio» (artt. 6 e 7 dlgs 231/01), dall’altro impone loro di istituire «un assetto organizzativo, amministrativo e contabile […] anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale

La correlazione tra compliance 231 e crisi d’impresa preesiste alla riforma, ricordiamo il reato presupposto commesso da amministratori, organi apicali e loro collaboratori diretti nell’interesse o a vantaggio dell’ente e alla conseguente sanzione amministrativa, pecuniaria e/o interdittiva, che in taluni casi può divenire avviare una crisi aziendali, anche irreversibili; oppure il caso di imprese già in crisi che, nel tentativo di recuperare competitività, commettono illeciti per procurarsi vantaggi.

Oggi con la riforma viene ancora di piu’ fatta emergere quanto sia importante che la funzione di governo dell’impresa agevoli l’integrazione tra le procedure di compliance 231 e le procedure di allerta del Codice della crisi, attraverso modalità operative tese al consolidamento dei rapporti tra la governance, gli organi di controllo e quelli di vigilanza.

Ciò non significa che gli adeguati assetti del Ccii, da una parte, e i modelli di cui al dlgs 231/2001, dall’altra, debbano integralmente coincidere: i modelli rappresentano soltanto un struttura di riferimento per realizzare gli assetti organizzativi, nell’ambito dei quali gestione e controlli risultino integrati e interconnessi in funzione della prevenzione della crisi. Infatti nell’ambito delle procedure volte a garantire la compliance 231, i modelli prevedono, quali strumenti di vigilanza dell’organismo preposto:

  • l’attivazione di appositi flussi informativi sulle attività c.d. sensibili (da effettuarsi sia con cadenza periodica che, all’occorrenza, su specifiche questioni);
  • l’effettuazione di verifiche, anche non programmate, di compliance; l’esame e la valutazione di segnalazioni ricevute in ordine a violazioni del modello con eventuale irrogazione di provvedimenti disciplinari;
  • le informative periodiche dell’organo di vigilanza all’organo amministrativo.

L’insieme di queste attività consente non solo di espletare le funzioni di vigilanza funzionali alla prevenzione dei reati di cui al dlgs 231/2001, ma altresì di rilevare fatti aziendali dai quali possano emergere potenziali situazioni di malessere dell’impresa, indicatori di una crisi insorgente da affrontare con interventi correttivi e/o strumenti tra quelli previsti nell’ambito del Codice della crisi ai fini della gestione dell’allerta, prima che la stessa degeneri sino a divenire irreversibile.

L’integrated model, vogliono rappresentare uno strumento costruito ad hoc sull’organizzazione, adeguato alla natura e alle dimensioni di quelle imprese che, anche se in crisi, non devono arrivare alla drammatica decisione di arrestare la continuità aziendale.